Percorsi fuoristrada

di Bruno Sullo
Orientamenti e indicazioni della ricera artistica contemporanea a Livorno – 2007
Mano n° 5 1998 gesso, legno e spago h. 54 cm

Per il lavoro artistico di Claudia Cei è stato importante il rapporto di interrogazione e di conoscenza con Maestri della storia dell’arte quali Paolo Uccello e Rosso Fiorentino, ma anche Van Eyck, Van der Weyden e, più recentemente, De Chirico. L’approccio con questi autori è singolare: certamente esso presuppone l’interesse, lo studio, l’ammirazione, ma non esclude una certa autonomia che si esprime con una selezione molto personale dei particolari presenti nell’opera considerata, l’uso dei materiali “impropri” (e moderni), l’adozione di tecniche (ad esempio il collage) che operano uno scarto preciso rispetto al modello. Questo àmbito di lavoro potrebbe essere ben inquadrato in una linea analitica dell’arte, caratteristica degli anni 70, secondo cui l’arte s’interessava al proprio statuto e alla propria storia, e si rivolgeva ai Maestri per acquisire coscienza della sua identità e giustificabilità, ed anche conoscenza dei mezzi operativi a sua disposizione.

 

Ma Claudia dà luogo alla sua ricerca negli anni 90, quando l’arte ha sperimentato la “rivoluzione” della Transavanguardia con il suo ritorno alla fisicità dell’opera, l’ideologia della regola senza regole, il nomadismo culturale degli artisti. Sarebbe innaturale che questo fermento fosse passato inosservato: ed infatti l’operazione dell’artista non è puramente analitica, ma dialettica, propositiva, diciamo pure, senza timori, creativa. L’opera rivisitata fornisce solo una base di autorevolezza sulla quale Claudia costruisce seguendo gli orientamenti della propria sensibilità: ecco dunque che una Battaglia di Paolo Uccello si arricchisce (fatalmente snaturandosi) di tagli geometrici, carte da parati, fogli di giornali, sabbia, fino a divenire un’opera nuova che non tradisce timori reverenziali anche se è attenta all’aura del Maestro.

 

È forse l’intervento De Chirico nella galleria dei numi tutelari di Claudia a costituire l’evento chiave della sua storia, in particolare il Canto d’amore dal quale l’allieva mutua alcuni elementi visivi che diventeranno presenze quasi costanti nei suoi ulteriori lavori: il guanto (che diventa mano) e la sfera, figura geometrica, questa, semplice e misteriosa nella sua chiusa concavità. La mano è un soggetto di invincibile attrazione (“la mia fissa” confessa l’artista), al quale ella ritorna spesso, modellandolo prima in gesso e proponendolo in inquietanti situazioni visive (inchiodato ad una superficie, emergente da uno squarcio della tela, imprigionato in una gabbia metallica, costretto dentro una specie di piccola bara di legno, appoggiato sotto un’improbabile meridiana, avvolto in un foglio di giornale, e così via). Si tratta di lavori datati 1994-99: nella specificità del tema e nelle modalità esecutive è evidente l’indulgere da parte dell’artista a una certa crudezza espressiva e ad atmosfere surreali (o meglio metafisiche, vista l’ascendenza dechirichiana). In verità la mano, separata dal corpo e trasferita in uno scenario inconsueto, caricata di forte senso simbolico, si propone in una dimensione di ermeticità, poiché il nuovo sistema di relazioni è ad essa del tutto estraneo; anzi, la frequente associazione con la sfera, anche se “giustificata” dal rimando al Maestro, sottolinea (quasi polemicamente) la alogicità della composizione che possiede una evidente allusività a qualche cosa che, però, non dice.

 

Lungo questo suo percorso che potrebbe apparire predeterminato, Claudia si produce in frequenti sconfinamenti, poiché soggiace al fascino di altre tentazioni, ora desunte dallo stesso lavoro, ora rispondenti ad esigenze autonome e personali. È un “nomadismo” culturale che la induce, ad esempio, a spostare l’attenzione dal generale al particolare: la “sua” mano costretta in una gabbia metallica finisce per valorizzare il contenitore stesso, e poi tutti i contenitori della civiltà dei consumi: lattine di bibite, bottiglie di plastica, buste di carta diventano simboli di una società che produce soprattutto rifiuti, ed esprimono tutta la carica erosiva, turbativa, degli oggetti usati e subito dopo accartocciati e gettati via. Una carica turbativa che può diventare ossessiva ad opera di semplici procedimenti, e tra questi soprattutto l’ingrandimento oltre il plausibile (la grande dimensione diventa grande presenza ed induce nello spettatore un atteggiamento di difesa). È significativo che tali oggetti siano “eseguiti” su lastre di rame, che vengono trattate e sbalzate in modo da riprodurli con effetto trompe-l’oeil, cioè descrivendoli con assoluta “verità” ma rivelandone al tempo stesso la falsità. Come si vede, il significato e l’assetto formale hanno in queste opere pari peso, ed insieme riscattano una certa ovvietà del primo ed il formalismo del secondo, producendo infine opere ambigue che suscitano nel lettore curiosità, interesse ed anche una sorta di ruvida emozione.

 

È un lavoro passibile di molti sviluppi, che tuttavia Claudia ha ultimamente sospeso per ritornare sulla strada maestra, alla “sua” mano che ora dilata e sospinge in più direzioni. È abbandonata, intanto, la modellatura in gesso (non priva di qualche ingenuità esecutiva) in favore di altre soluzioni che includono da un lato una versione oggettuale della mano (costruita in rete metallica e variabile nelle dimensioni fino a proporsi come una grande ed inquietante installazione), dall’altro una sua risoluzione in forma grafica bidimensionale (realizzata su tela con pochi elementi, gesso, carboncino e accenni contenuti di colore). In questi ultimi lavori l’oggetto mano è sottoposto ad un progressivo procedimento di blow-up che lo sospinge fino ai limiti della visibilità, ove si impone non più e non tanto per il suo significato o per la sua natura di mano, quanto per la sua intrinseca costruzione segnica.

 

Si tratta di un lavoro ancora in divenire, non si sa verso quali mete indirizzato: è comunque significativo che l’artista consegni alle sue ultime prove quel senso di precarietà e di transitorietà che è substrato importante e punto di partenza di ulteriori tragitti evolutivi od anche, perché no?, di altre deviazioni di rotta.